non è forse questo il potere delle parole, ossia di dar vita ad immagini che nel mondo del cerchio e del quadro non sono mai esistite?

venerdì 7 febbraio 2014

Pier Vittorio Tondelli: la Berlino intimista che oggi non ci racconta più nessuno





Berlino. La città che negli Anni Zero si ama incondizionatamente, senza metterla in discussione mai. La città del fine settimana che si protrae per quattro giorni di fila, partendo da giovedì notte, a cavallo della domenica, si allunga come una mano invisibile sino al lunedì. Party che si spengono lentamente, una fine cadenzata dall’abbandono dei dancefloor da parte di corpi sfiancati dalle droghe e dalla musica.
I racconti che giungono da coloro che questa città l’hanno vissuta e la vivono davvero parlano di feste mitologiche, uomini e donne dalle fattezze divine che dopo un rapido flirt sulla pista chiedono senza arrossire “ zu mir oder zu dir (andiamo da me o andiamo da te)?”. Un paradiso sulla terra. Una giostra psichedelica che non si ferma mai. Cibo a poco prezzo per i nostri animi feriti dalla crisi e dal futuro incerto. A Berlino si ha l’idea di non poter restare mai soli; o meglio, si ha l’impressione che non si senta più il bisogno di esserlo.
Eppure c’è stata un’altra Berlino, una città dal volto di cui oggi non ci arriva nessuna notizia dall’estero.
Pier Vittorio Tondelli, celebre scrittore vessillo della cultura degli anni ottanta, ce la restituisce come una città dalle capacità taumaturgiche. Leggendo le righe di Un weekend postmoderno ce lo immaginiamo camminare lungo i vialetti del Tiergarten, solo et pensoso, con il bavero del giubbotto sollevato e le mani gelate in tasca. A didascalia di questa immagine Tondelli racconta che «c’erano momenti in cui, camminando solitario lungo i vasti marciapiedi di Berlino Ovest (…) poteva anche capitarmi di pensare d’essere, a mio particolarissimo modo, felice: momenti, cioè, di pienezza interiore senza la vicinanza e l’appoggio di amanti, amici, gente con cui conversare». Berlino viene descritta come una città intimista, ospedale ad aria aperta per coloro i quali cercano una cura per il loro malessere; un malessere interiore che lo scrittore conosce bene e da cui cerca sollievo viaggiando senza posa, da solo in giro per il mondo, assecondando un indomabile «bisogno di silenzio, di solitudine, di dormire, di ricordare, di tacere, di sparire». D’altronde, scagli la prima pietra chi non ha provato questi bisogni almeno una volta nella vita. 
Il tema del viaggio accompagna l’opera di Tondelli come un basso continuo, si intreccia nella trama letteraria delle sue opere (da Autobahn, racconto-capolavoro della sua opera prima Altri libertini sino a Camere Separate, ultimo romanzo i cui eventi si svolgono fra Italia e la Germania) così come nella sua esistenza, restituendoci l’immagine del movimento senza posa come la cura all’insoddisfazione del quotidiano e della provincia da cui proviene per nascita: «se sono partito, se sono andato (…) è perché dovevo rispondere a un’ansietà che è dentro di me». E se la sua storia personale e letteraria è costellata di viaggi, brevi permanenze, amori internazionali, amicizie allacciate ad una festa di intellettuali o sullo sgabello del bancone di un bar, una delle tappe più importanti per lo scrittore è la Berlino degli anni Ottanta, ancora divisa, eccentrica, fedele a se stessa ma soprattutto autentica. In visita nella capitale nell’inverno del 1985 racconta che «Berlino è una città che ti mette, spietatamente, e nello stesso istante, di fronte a te stesso e di fronte alla follia degli uomini, della guerra, delle divisioni e degli schieramenti politici. Una città in cui puoi ritrovarti, se ti sei perso, o perderti completamente, se lo vuoi, nell’abbandono languido, venato di tristezza e malinconia che essa ti offre».
Viene da chiedersi allora se qualcuno dei circa 25mila italiani che oggi abitano ufficialmente a Berlino conosce o semplicemente saprebbe riconoscere la malinconia che cola dalle pareti dei palazzi o che il gelido vento  polacco porta con sé, spirando fra i larghi viali dove gli scheletri degli alberi si piegano stanchi sotto il peso della neve. E una volta riconosciutala, apprezzarla e capire che è da quelle stesse mura che si sgretola l’essenza di Berlino, ferita e a tratti ancora divisa, ma nonostante ciò generosa e pronta ad accogliere e curare.  Mi viene da dire, mi viene da sperare: forse sì. E allora, fra un giro in bicicletta e un altro in pista, dimostratelo che avete capito, dimostratelo anche a noi che siamo rimasti qui a guardarvi divertire.